
UN SOLO COMANDAMENTO: DIFFONDERE IL VERBO
Valentino Vitale è un pezzo di storia della Volsci. L’idea di una squadra di rugby nella provincia di Frosinone nasce anche grazie a lui. Armato di una palla ovale e di nessuna conoscenza tecnica ha iniziato, sette anni fa, a "diffondere il verbo del rugby", come dice lui. Quando si è accesa la
lampadina che ti ha spinto a creare una squadra di rugby?
“Io e Gianluigi Palombo guardavamo le partite di rugby in televisione sognando di creare una nostra squadra. Una sera, in un pub, abbiamo deciso di mettere in atto il nostro progetto. C’erano dei ragazzi che conoscevamo al tavolo vicino al nostro e gli abbiamo chiesto se volevano partecipare al progetto. Sono scoppiati a ridere. La reazione di tutti quelli a cui parlavamo della nostra squadra, all’inizio, era sempre di derisione. Ma sono stati proprio i ragazzi che all'inizio ci schernivano i primi a partecipare ai nostri allenamenti e ad entrare a far parte della squadra.”
Eravate preparati alle difficoltà che sorgono quando si crea una squadra?
“In realtà non eravamo preparati nemmeno a giocare. Il primo allenatore della squadra sono stato io, mentendo a tutti. Non avevo mai giocato realmente a rugby. Avevo visto tante partite in televisione, ma conoscevo le regole solo perché le avevo lette sul sito della Federazione. Il 4 aprile 2004, quando abbiamo fatto il primo allenamento, ho detto a tutti che avevo il tesserino da allenatore invece non era vero. Qualcuno dei miei compagni ha saputo che quella era una menzogna solo un anno fa. Quello che per me era importante allora, anche se non potevo insegnare a nessuno come si effettuava tecnicamente un passaggio visto che non lo sapevo nemmeno io, era far appassionare i ragazzi al rugby.”
Come si è evoluta poi la squadra?
“Io sono stato allenatore solo per le prime settimane. Poi è arrivato Florin Copisteanu, il primo vero allenatore della squadra. Ex nazionale rumena, è stato lui a dare il la alla squadra, a colmare tutte le nostre lacune tecniche. La base ce l’ha data lui, anche se poi con Damiano Massari c’è stato un ulteriore passo in avanti, questo non lo dobbiamo dimenticare.”
I primi anni eravate tutti a Roma per motivi di studio, cosa ricordi degli allenamenti davanti lo spiazzale del Policlinico di Tor Vergata?
“Già era stano che noi ci allenavamo dove di giorno, di solito, le persone si siedono per mangiare il pranzo. Era un prato di 3 metri per 4 e noi ci andavamo a fare i placcaggi, una cosa assurda! Eravamo io, Domenico Cirelli e Romolo Cortina. La cosa che ricordo con più piacere è lo spirito che ci legava. Ogni notizia che ci potevamo scambiare durante il viaggio in autobus era magia.”
Ci racconti qualche aneddoto legato alle prime partite?
“Noi a fare allenamento sopra a Campoli con lo scudo fatto dalla nonna di Gianluigi. Era un cuscino con una stringa cucita a mano. Oppure quando abbiamo chiamato la squadra di Avezzano che ci ha subito regalato i primi palloni capendo che eravamo dei matti. O ancora l’allenamento durante il quale Federico Mufloni detto Muflè, che giocava in nazionale, mi ha detto di diffondere il verbo del rugby. I ricordi sono tanti, uno più meraviglioso dell'altro...”
Cosa rende un rugbista, un bravo rugbista?
“Non deve mai perdere la lucidità, per giocare meglio e per non perdere il passaggio. Un ottimo rugbista è quello che mantiene la lucidità e che è tecnicamente dotato. In Nazionale la preparazione fisica conta il 70-80%.”
Quali sono le doti che rendono te un bravo rugbista?
“Sono sicuro di non avere il fisico. Mi manca la lucidità perché non mi alleno tanto a causa del lavoro. Però penso che quando entro in campo do il mio contributo. Non sono magari fondamentale, però posso fare la differenza.”
Cosa ti aspetti che la Volsci riesca a fare quest’anno?
“Mi auguro soprattutto di andare in serie B, ma ancor prima mi auguro di riuscire ad avere un campo tutto nostro e di rafforzare il nostro settore giovanile. Per i bambini è importante giocare a rugby perché fa parte della natura umana voler prendere il pallone con le mani, e non solo calciarlo, o volere sporcarsi con il fango. Ogni bambino ha questi istinti, mi chiedo quando i genitori lo capiranno! “
Perché, secondo te, il rugby è ancora così poco valorizzato?
“Mi piacerebbe che il rugby fosse condiviso da molte più persone, però il fatto che questo non avvenga è anche un bene. Meglio crescere lentamente e puntare tutto sui valori, piuttosto che conquistare subito una grande fama e diventare marcio a causa del dio Denaro.”
SOGNANDO L’AUSTRALIA…
Il sogno di Rocchina Chiara Petricca, una volta laureata, è quello di trasferirsi per un lungo periodo in Australia, sua patria natia. Ma non sarà facile per lei, visto che la Volsci Rugby Rosa farà il possibile per persuaderla da quel proposito e per non perderla. Quando ti sei avvicinata alla Volsci?
“Conosco Valentino Vitale, pilastro della squadra, da una vita. Assieme a lui ho visto la Volsci nascere. Le nostre strade si sono poi divise e io ho smesso di seguire la squadra. La mia passione si è riaccesa circa tre anni fa, per poi diventare più assidua l’anno scorso quando ho iniziato ad allenarmi con la Volsci Rosa.”
Perché hai deciso di aderire a questo progetto?
“Innanzitutto perché credo nella serietà e nella caparbietà di questa società. Invogliata da Domenico Altobelli, ho iniziato a giocare a rugby quando eravamo solo quattro/cinque ragazze. Non conoscevamo bene le regole, ma poi siamo entrate nello spirito del gioco e la nostra passione è cresciuta assieme alla squadra.”
Cosa pensi del rugby?
“È impossibile conoscerlo da fuori. Tutti lo considerano violento, non adatto alle donne, dimenticando che la lotta è lo sport più antico del mondo. Io, invece, da laureanda in psicologia clinica, penso sia molto indicato per le persone timide ed introverse. Nella nostra squadra, ad esempio, sono proprio le atlete più timide a buttarsi più facilmente nella mischia. Essendo uno sport di squadra, inoltre, è adatto anche ai bambini perché insegna loro a stare con gli altri.”
Anche tu sei timida come alcune tue compagne?
“Al contrario, io sono una ribelle. Odio le imposizioni quindi se faccio qualcosa è solo perché sono io a volerlo. Diciamo che mi piace sempre stare un po’ al margine degli schemi, senza trasgredire ma senza nemmeno seguire la massa. Sono anche una che sorride sempre. Il sorriso non l’utilizzo, però, solo quando sono felice, ma anche come un’arma, perché un sorriso può suscitare gioia in chi ti guarda ma può anche svilire l’avversario che pensava di averti sconfitto.”
Quale progetto hai per il futuro, oltre naturalmente l’Australia?
“Non penso mai al domani, preferisco pensare all’oggi. Anche se ho tantissime ambizioni e progetti, preferisco concentrarmi solo su quello che posso fare oggi altrimenti rischio di perdermi qualcosa di importante.”
UNA FAMIGLIA SPECIALE
Per Federico Tomassi la Volsci è davvero una famiglia: c’è papà Paolo (Faticanti, il Presidente), ci sono 46 fratelli (i componenti della squadra) e gli zii (lo staff tecnico). Lui si sente un po’ come il figlio di mezzo. È arrivato in squadra cinque anni fa, quindi in po’ dopo la sua nascita. I giocatori più “anziani”, quelli che sono con la Volsci dal 1995, quando la società si è costituita, sono i fratelli maggiori, quelli che lo consigliano e dalla cui maggiore esperienza trae insegnamento. Poi ci sono i “più giovani”, che sono in squadra da meno tempo e che Federico guida, proprio come farebbe con un fratello più piccolo, nella crescita sportiva. Infine, c’è lo staff tecnico, tanti zii che lavorano per il benessere della famiglia. Cosa rappresentano tutte queste persone per te?
“ Tutti loro sono dei punti fermi, persone importanti nella mia vita dentro e fuori dal campo. Per motivi diversi,sono affezionato ad ognuno di loro, non potrei fare a meno di nessuno. L’allenatore è il mio mentore, rappresenta il maestro di vita di cui tutti avrebbero bisogno. Per un ragazzo semplice, timido e legato ai valori della famiglia, dell’amicizia e del rispetto come me è molo importante tutto questo. Mi guidano costantemente verso il meglio, verso il bene, spingendomi a migliorare. Sono abituato al sacrificio, ma avere qualcuno affianco che ti guida e che crede in te rende ogni cosa più facile, più piacevole e meno gravosa.”
Qual è il momento più bello condiviso con la tua “famiglia”?
“I ricordi sono tanti. Ogni momento passato con loro è un bel momento. Un giorno che sicuramente non dimenticherò mai è quello della mia prima partita ufficiale. Giocavamo fuori casa. È stato quello il giorno del mio battesimo come rugbista.”
Perché lo consideri un momento indimenticabile?
“Per i sentimenti contrastanti provati in quel momento. All’inizio ero emozionato e al tempo stesso preoccupato. Era la prima volta che affrontavo un vero avversario. Non mi sentivo ancora pronto. Pensavo di essere impreparato a fare quello che mi si chiedeva. Per fortuna, però, avevo affianco i miei fratelli maggiori. Ricordo che mi sono lasciato guidare da Luca Cadoni ed è andato tutto benissimo. Sono stato molto orgoglioso di me in quel momento e sapevo che lo erano anche tutti i miei compagni. L’ho capito dai loro occhi e dai loro sorrisi più che dalle parole.”
Tutti gli altri bei ricordi a cosa sono legati?
“Gli altri ricordi sono fatti di mete, di vittorie, ma anche di sconfitte. Ricordo ognuno di quei momenti con grande piacere, perché nella vita anche gli errori servono a crescere e come stimolo per fare meglio.”
Quando sei arrivato nella Volsci, è questo che ti aspettavi di trovare?
“In realtà sì. Sono un tifoso rugbista da sempre, quindi conoscevo già il forte legame che si crea all’interno di una squadra di rugbisti.”
Cosa ti piace del rugby?
“Inanzitutto il rispetto reciproco che c’è all’interno della squadra e che diventa un aspetto primario in ogni tipo di relazione. In secondo luogo non potrei mai rinunciare ai rapporti interpersonali che si creano all’interno della squadra. In terzo luogo, ma non per importanza, il rito del terzo tempo.”
Tutti decantano le lodi del terzo tempo, ci spiegheresti come mai?
“Lo chiedi alla persona giusta. Io sono il più grande appassionato del terzo tempo. La mia passione smodata per questo momento è comprensibile solo se vi si partecipa. Una volta provato non se ne può fare più a meno. Il terzo tempo è una valvola di sfogo, grazie alla quale scarichi tutta la tensione accumulata durante la partita. Durante il terzo tempo ti rilassi e dimentichi tutto, anche i precedenti 80 minuti di fatica.”
Cosa ti prefiggi per il futuro?
“La conquista della serie B. ogni giorno dedico tutte le mie energie alla Volsci e continuerò a farlo, finché il fisico me lo consentirà, e sono convinto che presto, tutti insieme, riusciremo a realizzare questo sogno.”