10anni

 



UN GLORIOSO FUTURO
Andrea Simone ha otto anni e ½ e una grande responsabilità, è un fratello maggiore! Non è facile fare sempre la cosa giusta, soprattutto quando si è così piccoli, però lui ce la mette tutta. I consigli del Mister e l’amicizia dei suoi compagni di squadra, sono preziosi per la sua crescita, perché gli insegnano quant’è bello sentirsi parte di un gruppo. Forse è per questo che Andrea ha deciso che da grande farà il rugbista di professione. Una scelta impegnativa, che richiederà sacrifici e costanza, ma che alla fine sarà sicuramente premiata. Ora però, nell’attesa di una carriera gloriosa, meglio continuare ad impegnarsi nel non fare arrabbiare la mamma e nell’essere meno dispettoso con il fratellino più piccolo.

LO SPORT È LA MIA VITA!
Tania Bellisario è una professionista dello sport. Laureata in Scienze Motorie con una specializzazione in scienze e Tecniche dello Sport, è un’allenatrice di ginnastica artistica, allena i bambini del mini-rugby ed è una rugbista della BPC Volsci Rugby Sora. Quali sono le qualità che ti rendono una brava allenatrice?
“Sono molto allegra, positiva, vedo il bicchiere sempre mezzo pieno. È questo che cerco di trasmettere ai miei allievi, il mio ottimismo. Alle cose brutte non bisogna pensarci, perché quelle non le possiamo cambiare, invece possiamo cercare di migliorare quello che siamo e quello che ci circonda. Non mi piace la competitività, bisogna fare sport per divertirsi, perché lo sport fa star bene.”
Quali sono, invece, le qualità che ti rendono una brava giocatrice di rugby?“Secondo me la velocità. La ginnastica aritmica che ho sempre praticato fin da quando ero piccolina, mio ha insegnato poi la coordinazione.”
Ti ritieni una brava compagna di squadra, aldilà del valore sportivo?“Sì. Io sono una persona che cerca sempre di aiutare gli altri, faccio sempre molto sostegno. Quando vedo che una persona è in difficoltà mi prodigo per aiutarla. Questo, all’inizio, mi portava a commettere molti errori quando giocavo a rugby perché, per istinto, andavo anche dove non dovevo andare.”
Come nasce la passione per il rugby?
“Quando studiavo a L’Aquila abitavo sopra lo stadio dove si allenava la locale squadra di rugby. La domenica sentivamo sempre il chiasso che facevano mentre giocavano, così io e una mia amica abbiamo deciso di andare a vedere una partita. Guardandoli giocare mi sono subito appassionata perché è un gioco molto veloce, senza punti morti. Da quel momento ho iniziato a vedere anche le partite in televisione, anche se non capivo bene cosa succedeva in campo. Le regole le ho imparate solo al terzo anno di università.”
Come hai conosciuto la Volsci?
“Lavoravo già da qualche anno nel rugby quando un mio amico mi ha detto che anche lui praticava questo sport. Gli ho promesso di andare a vedere un allenamento, ma non trovavo mai il tempo. Poi due anni fa ho letto sul giornale un articolo sulla Volsci. Visto che si allenavano a Sora, ho chiesto a quel mio amico di mettermi in contatto con loro. Mi ha fatto parlare con Paolo Faticanti e con Gianluigi Palombo che hanno accolto con piacere la mia proposta di aiutarli con il mini-rugby.”
Ti piace di più allenare i bambini o gli adulti?
“Penso che l’attività sportiva non sia solo un divertimento o un’attività per restare in forma. È anche un mezzo di crescita personale, emotiva. Lavorare con i bambini è uno stimolo per dare qualcosa in più alle persone, perché il bambino pretende di imparare sempre dagli adulti. Attraverso l’attività sportiva io cerco di far superare ai bambini i loro ostacoli fisici ed emotivi. Per un bambino timido, fare un placcaggio o cadere a terra è molto difficile. Riuscire a fargli toccare un’altra persona, a farlo buttare a terra, è una grande soddisfazione. Per me non è importante che loro vincano o che facciano bene un passaggio. È più importante che si liberino emotivamente. Tutto questo diventa più difficile quando si allena gli adulti perché loro sono già formati. Anche quando mi alleno con la Volsci Rosa fatico a restare seria per tutta la durata dell’allenamento. Con i ragazzini io scherzo sempre per non rendere la lezione troppo pesante, con gli adulti non lo puoi fare e quindi mi annoio. “
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
“Spero di continuare ad allenare i ragazzini e di far crescere la popolarità del rugby. Naturalmente voglio anche continuare a fare lezione di ginnastica aritmica. Tutti i miei altri progetti nella vita sono legati a questo. Lo sport è la mia vita. È da quando avevo 10 anni che sognavo di fare questo lavoro e certamente non lo lascerò.”

IL RUGBY È INANZITUTTO RISPETTO DELL’AVVERSARIO
“Più son grossi e più si vergognano”. Frequentando i ragazzi della Volsci ci si rende conto che l’apparenza inganna quasi sempre. Ti avvicini a uomini che sono alti quasi il doppio di te, per non parlare della larghezza delle loro spalle confrontate con le tue; uomini abituati al contatto fisico, alla lotta con avversari grossi quanto loro, e subito pensi “questo è uno che non ha paura di niente”… Invece presto mostrano le loro “debolezze” di uomini comuni, che si imbarazzano quando il tuo sguardo inquisitorio si incrocia con il loro e che iniziano a balbettare quando la conversazione entra troppo nel personale. Sandro Mattei è proprio uno di questi uomini, la dimostrazione che non importa la mole fisica se non si hanno il cuore, il coraggio, il rispetto, l’intelligenza, la prontezza dei riflessi. L’insieme di tutte queste caratteristiche è essenziale per essere un grande uomo e un bravo rugbista. Quando hai iniziato a giocare a rugby?
“Gioco a rugby da otto anni. Ho iniziato quando la Volsci si chiamava ancora Casalattico Rugby. Un giorno un mio amico, Luca Cadoni, mio ha detto se volevo provare a giocare a rugby. Mi ha portato sul campo a fare un allenamento di prova e mi è piaciuto subito.”
Cosa hai pensato quella prima volta?
“Ho subito capito che non è uno sport adatto a tutti. Ci vuole coraggio per giocare, perché è uno sport di contatto, è uno sport di lotta e bisogna avere tanta tenacia per farlo. Non è una questione di costituzione fisica, puoi anche essere alto un metro, l’importante è che tu abbia cuore e coraggio.”
Tu che tipo di persona sei?
“Caratterialmente sono buono, molto buono, ma se mi fai arrabbiare…Mi apro subito, entro subito in confidenza con le persone, ma basta che sbagli una sola volta con me e chiudo subito ogni rapporto. Da ragazzino ero un bulletto. Naturalmente non ho mai combinato niente di grave. Ero mediamente più alto degli altri ragazzini e per questo erano tutti un po’ intimoriti da me. Sebbene io non facessi niente per provocare in loro questo sentimento, non cercavo nemmeno di persuaderli del contrario, così finiva che mi sentivo sempre superiore agli altri. Questo sport mi ha aiutato a capire che ragionare in questa maniera è sbagliata. Si deve sempre rispettare chi si ha davanti.”
Ti piace rispettare le regole?
“Naturalmente no. Ho sempre odiato rispettare le regole, però vivo quelle del rugby in modo diverso dalle altre. So che se non rispetto quelle regole non posso giocare a rugby e le rispetto per questo.”
C’è un episodio che ricordi con particolare piacere?
“Le prime partite giocate con la Casalattico Rugby, i mie primi approcci in campo con l’avversario. Alla prima partita ero molto teso, avevo molta paura. Non era paura del contatto, ero molto impacciato e non sapevo cosa fare, però poi man mano che è passato il tempo, giocando, mi sono tranquillizzato.”
C’è un rito che fai prima di ogni partita?
“Prima di ogni partita resto qualche minuto con la testa sotto l’acqua che sgorga dalla doccia e sto un po’ così per concentrarmi.”
Cosa ti piace del rugby?
“Mi piace molto perché è uno sport di contatto. Durante una partita io posso decidere il destino del mio avversario, mentre il mio destino è nelle sue mani. Io posso fare quello che voglio del mio avversario, ma devo essere anche molto attento perché lui può fare lo stesso di me.”
Alleni ancora i bambini della mini-rugby?
“Per motivi di lavoro ho lasciato, con rammarico perché mi piace allenare i bambini, è una cosa bellissima. Con loro riesco a tirare fuori quello che ho dentro, dentro il cuore. La prima cosa che cerco sempre di insegnare loro e che devono avere coraggio per andare in campo. Al di fuori del lato puramente tecnico, è importante lavorare prima sulla testa. Lavorare sul bambino significa fargli capire che il gruppo è fondamentale, che chi c’è accanto a te è un fratello, nessuno lo deve toccare, lo devi proteggere.”
 
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