
CADONI: CHINATE LA TESTA CHE PASSA LA BRIGATA SASSARI
Nello stesso istante in cui ti presenti a Luca Cadoni capisci di aver trovato un nuovo amico. Ti stringe la mano con sicurezza, guardandoti con occhi dolci e il sorriso sulle labbra. Non è difficile entrare subito in confidenza con lui, anche quando si è consapevoli di trovarsi di fronte ad una persona che rappresenta la storia del Volsci Rugby. Ha iniziato la sua carriera da rugbista a Casalattico, quando il Volsci aveva un altro nome e un’altra sede e dopo sette anni lo troviamo ancora in campo affianco ai suoi compagni, vecchi e nuovi. Di aneddoti sportivi potremmo farcene raccontare tanti da lui che, ancor prima del rugby, ha praticato mille altri sport, come il calcio, il ciclismo, il kickboxing. Ma per capire meglio cosa spinge un uomo come lui a militare per sette lunghi anni in una squadra di rugby, preferiamo chiedergli prima chi è Luca fuori dal campo:
“Sono una persona iperdisponibile, fuori e dentro al campo. Trascuro anche un po’ me stesso per gli altri. Purtroppo per tanta gente, sono uno che dice sempre quello che pensa, senza paura, indipendentemente da chi ho di fronte, indipendentemente dalla situazione, senza portare rancore. Professionalmente sono un esattore delle tasse automobilistiche. Ho uno studio di consulenza automobilistica, una delegazione ACI.”
Quando sei in campo, con tutta la tua squadra, invece chi sei?
“Sono come un combattente della Brigata Sassari! L’inno della Brigata Sassari è la storia di una battaglia, di un gruppo di commilitoni che affronta il nemico muovendosi ‘tutti insieme’. Tutta la canzone è in dialetto sardo, il che mi infonde ancor più coraggio visto che la Sardegna era la patria natia di mio padre. Chinate la testa che passa la Brigata Sassari!”
Qual è la caratteristica della tua personalità che ti permette di affrontare l’avversario?
“Sono un uomo testardo. Sono disponibile, molto buono d’animo, ma anche un uomo preparato. Sono consapevole delle mie capacità, professionali e sportive, e m’impegno in tutto ciò che faccio, pretendendo che anche gli altri diano sempre il meglio di se stessi. Nell’ultimo periodo, alcuni eventi della vita mi avevano portato ad allontanarmi un po’ dalla squadra. Purtroppo a volte si presentano priorità che ci distraggono un po’ dalle nostre passioni. Ora, però, sono pronto a rincominciare. Un vecchio combattente torna sempre a combattere.”
Ti senti realizzato nella vita?
“Credo che nessuno di noi dovrebbe mai affermare di essere realizzato. Il raggiungimento di un obiettivo è un punto di partenza, non un punto di arrivo. Ci sono ancora tante sfide da affrontare, tanti obiettivi da raggiungere, ed io son qui, pronto e felice di poterli affrontare”.
UNITI PER LA PALLA OVALE
Sono una coppia affiatata, ma nessuno dei due è abituato a parlare in pubblico. Lei, Chiara D’Orazio, cerca di vincere l’imbarazzo con qualche battutina, lui, Davide Cristini, si affida completamente alla maggiore, anche se non molta, disinvoltura della sua compagna. Lei cerca di conciliare il suo lavoro di commessa con quello di studentessa universitaria, mentre lui ha un lavoro in fabbrica che lo rende felice. Fino a qualche mese fa nessuno dei due aveva grandi passioni, ora li si ritrova sempre al campo Trecce ad allenarsi con la Volsci Rugby, magari con lui che, premurosamente, aspetta che lei finisca di cambiarsi. Il loro incontro con il rugby è avvenuto per caso: <<È stata Chiara a propormi di entrare a far parte della Volsci. All’inizio non ne ero proprio convinto. Non ho mai praticato sport di squadra. Ho sempre preferito allenarmi in palestra, lontano da ogni forma di competitività. Tutti e due eravamo alla ricerca di uno sport che ci desse maggiori stimoli rispetto ad un allenamento in palestra. Poi Chiara mi ha proposto questa cosa ed io ho accettato di partecipare ad un allenamento di prova. Abbiamo cominciato insieme a maggio ed ora ne sono entusiasta>>. <
Il rugby, però, non è l’unica cosa che li unisce, per il loro futuro insieme hanno già le idee chiare. <
DOMENICO ALTOBELLI: IL GIGANTE BUONO
Quando ci si trova di fronte lui si resta un po’ intimiditi dalla sua imponenza fisica. I suoi occhi non temono di incontrare lo sguardo degli altri. Avanza fiero sul campo. Sempre sicuro di sé, senza mai un cedimento. Domenico Altobelli - colonna portante della Volsci Rugby nonché, da quest’anno, allenatore della Volsci Rugby Rosa - ha l’aria del duro, di un uomo con il quale meglio evitare ogni discussione. Quando poi lo si conosce un po’ meglio, magari lontani dal campo di gioco, con le "sue adorate rosa" per il terzo tempo, ci si rende conto, invece, di essere stati veramente sciocchi a lasciarsi condizionare dalla prima impressione. Certamente non si tratta di una persona con la quale è facile stabilire fin da subito un rapporto confidenziale. Se si prova a chiedergli qualcosa di personale, sfugge alla domanda cercando di portare la tua attenzione sulle altre persone presenti. Ma poi, pian piano, senza quasi nemmeno rendersene conto, si lascia scappare qualche piccola confessione. All’inizio solo poche parole, risposte obbligate a domande incessanti. Poi le parole iniziano ad uscire copiose, senza più bisogno di supplicare per un’intervista. Si scopre, così, di aver scambiato per austerità la dedizione alla vita e non ci si riesce a trattenere dal chiedergli: chi è davvero Domenico?
“Non riesco a parlare di me stesso. Credo di essere una persona simpatica, sicura di sé, testarda, con una forte personalità. Non amo particolarmente essere al centro dell’attenzione. Sono molto sensibile – cosa da non confondere con l’essere permaloso. Ma sono anche diffidente, per questo ci metto molto ad aprirmi con gli altri. Mi ritengo particolarmente estroso, fantasioso ed estremamente romantico. Penso di essere eccessivamente critico con me stesso. Non mi accontento mai, mi piace sempre mettermi in gioco, mettermi alla prova. Mi pongo dei limiti da superare, degli obiettivi da raggiungere. Sono un praticante commercialista e mi occupo di consulenza d’impresa e di consulenza del lavoro, all'interno di uno studio associato con mio padre commercialista e mia sorella avvocato . Ho anche una società di consulenza finanziaria. Ho fatto tanti sport. Il mio hobby preferito è andare in moto, uno sport che mi ha causato innumerevoli incidenti. Mi sono rotto di tutto e di più. Ho fatto full contact. Calcetto per divertimento e mi piace sciare.”
Quando è avvenuto il tuo incontro con il rugby?
“Ho iniziato a Casalattico, appena la squadra è nata. È avvenuto tutto per caso. È stato il mio amico Luca Cadoni a propormi di iniziare a giocare a rugby. Sono stato quello che ha segnato la prima meta - contro l’Ariccia Rugby - e quello che ha fatto il primo drop - contro il Rugby Roma 2000 - della storia del rugby nella provincia di Frosinone.”
Perché pratichi questo sport?
“Per me il rugby è lo sport che rappresenta nel modo migliore la vita quotidiana: il rispetto dei valori, il rispetto delle gerarchie naturali che ci sono all’interno della vita. È uno sport ‘puro’, ricco di valori. È il rugby come stile di vita. Proprio perché sport da combattimento, affronti l’avversario a viso aperto. Anche nella vita è così, non è il singolo a portare a casa la vittoria o la sconfitta. Devi credere nell’unione e nella collaborazione. C’è la possibilità per tutti di giocare a rugby, come nella vita. Per me va oltre il concetto di sport. È uno sport che ti dà divertimento. Non è solo un’attività fisica, è un giusto modo di vita. Rispetti il compagno, rispetti te stesso, rispetti l’avversario, rispetti l’arbitro… il rispetto nelle regole è quello che dovrebbe esserci anche nella vita! Quello che il rugby mi ha dato sono delle vere amicizie. Paolo Faticanti, il Presidente della Volsci Rugby, è diventato il mio migliore amico, un esempio di vita, di lealtà e di signorilità. Il passaggio da uno sport individuale a uno di squadra cambia molto perché si vince o si perde tutti quanti insieme. La cosa che mi piace di più del rugby è il concetto di ‘sostegno’. È un concetto che deve essere applicato sia alla fase di difesa che di attacco. Mai lasciare un compagno da solo. Proprio perché si tratta di uno sport da combattimento ti puoi far male, e questo accade soprattutto se si agisce da soli, senza pensare ai compagni di squadra. Bisogna muoversi tutti insieme perché ogni meta è il risultato raggiunto da tutta la squadra. Chi la segna è solo colui che ha concluso l’azione portata avanti da tutti, ma non ne è il solo responsabile.”
Quando ti è venuta l’idea di creare una squadra di rugbiste donne?
“Una squadra femminile era proprio quello che mancava. Mi sono dunque fatto promotore del progetto e ora ne sono il responsabile nonché l’allenatore. Quello che mi piace del rugby femminile è che è ancora uno sport ‘genuino’, amatoriale, pieno di sacrifici, dove si lascia a tutti la possibilità di giocare. Credo molto nella mia squadra. Per me non è un gioco, mi diverto perché le ragazze mi danno tante soddisfazioni, ma l'impegno e la serietà è estremo da parte loro e mia. Sono già diventate bravissime. Credo nella forza e nelle capacità di ognuna di loro, soprattutto a livello umano. Mi hanno regalato la capacità di prendere la vita con il sorriso. Quando ho iniziato a fare allenamento pensavo fosse giusto alzare un muro tra me e le giocatrici. Poi, per fortuna, è nato un rapporto di amicizia e di fiducia con loro. Sono ragazze fantastiche, si è creato un legame forte e sono convinto che presto dimostreranno quanto è grande il loro valore.”
Quale altri progetti vorresti realizzare in futuro?
“Il mio sogno è quello di avere un capo tutto nostro con una clubhouse. Un posto vicinissimo al campo dove stare tutti insieme… una casa appunto! Il mio concetto di rugby va oltre lo sport. Naturalmente quando scendo in campo lo faccio con l’intenzione di vincere, si gioca solo per vincere. Però ora, dopo sette anni che gioco, il mio obiettivo è diventato quello di allargare i confini della squadra. Credo nello sport come valore, come veicolo sociale, capace di trasmettere dei valori sani e importanti, che a volte la società si dimentica di avere. La mia clubhouse dovrebbe servire come momento aggregativo per i bambini, per fare sport e allo stesso tempo vita sociale, lontano dai videogiochi, chiusi nelle mura di casa.”
Cosa ami fare nel tempo libero?
“Mi piace stare a casa con la famiglia. Le mie sorelle sono la cosa a cui tengo di più, anche se mi è difficile scegliere tra loro e mia madre. Sono le persone a cui tengo di più al mondo. Mi piacciono anche gli animali. Mi piacerebbe avere una fattoria didattica, un progetto integrato per la riabilitazione dei bambini con problemi. La società ha bisogno di essere sensibilizzata all’amore, all’amicizia, al rispetto per l’ambiente. Questo è quello che conta davvero nella vita.”
Da chi trai ispirazione?
“Mio padre è il mio faro, nella professione e nella vita. Illumina la mia rotta, è il mio punto di riferimento, la persona verso la quale rivolgere il mio sguardo quando mi sembra di aver smarrito la via. Mi piacerebbe riuscire a fare quello che ha fatto lui. Non ho miti tranne lui. La cosa più bella che mi ha trasmesso è proprio l’amore per la famiglia. È un modello che seguo. Mi ha trasmesso anche la passione quasi romantica per la politica, la stessa passione che poi metto nello sport e in ogni cosa che faccio. E a lui che dedico i miei successi in campo.”
C’è un gesto che ripeti ogni volta prima di entrare in campo?
“Prima di iniziare una partita mi faccio sempre il segno della croce e penso. E quando ho la fortuna di segnare una meta esulto, guardo verso la tribuna, dove so che è seduto mio padre, e gli mando un bacio.”
Dove ti immagini tra qualche anno?
“In futuro mi vedo ancora all’interno della società, sicuramente in serie A, in un campo tutto nostro. Mi immagino seduto con Faticanti e Cadoni a ricordare le mitiche partite del Casalattico e i panini con la coppa del nonno, mentre guardo i miei figli giocare su un campo, possibilmente di erba.”
Se invece volgi lo sguardo al passato, qual è il momento più bello che ricordi?